Pino Arlacchi: «I comuni hanno dimostrato di saper spendere meglio i le risorse europee. Credo che la soluzione migliore sia quella di affidarle ad associazioni di comuni che intercettino direttamente i fondi europei, sempre dietro una necessaria verifica della qualità dei progetti e con tutte le garanzie che occorrono perché l'iter si svolga secondo parametri corretti».
Pino Arlacchi: [...] «Possiamo tentare di costruire una volta per tutte un Sistema Paese coerente con quello che l'Italia dovrebbe essere: un paese trainante dell'Europa per tante ragioni.
Siamo in ritardo di una decina di anni sul resto dell'Europa per quando riguarda soprattutto le istituzioni, il rinnovamento istituzionale.[...] La principale differenza dell'Italia rispetto agli altri paesi europei è che non siamo un Sistema Paese.[...]
L'Italia, con tutti i suoi limiti è comunque uno dei quattro grandi paesi europei, con un PIL di tutto rispetto (ancora non per molto tempo). Siamo un paese fondamentale per l'Europa. La crisi dell'Italia è la crisi dell'Europa» [...]
Pino Arlacchi sulla posizione dell'Europa rispetto alla crisi ucraina: " Ci sono chiaramente due posizioni: da una parte l'Italia e la Germania sull'Ucraina, con una linea di prudenza e di ragionevolezza - ed è di fatto una presa di distanza dall'altra posizione che è la più estrema - quella francese, di Kerry, della Nato e anche dei media europei"
Questo libro è nato da un incontro tra uomini divisi in tutto: nascita, formazione, valori. Da un lato Pino Arlacchi, uno dei massimi esperti mondiali del fenomeno mafia, dall’altro Antonino Calderone, mafioso di spicco della «famiglia» di Catania e poi grande pentito. In un rifugio messo a disposizione dalla polizia, Calderone ha deciso di ricordare. E raccontare.
Quando uscì nel 1992 "Gli uomini del disonore" ebbe un grande successo. Faceva conoscere le gerarchie di Cosa Nostra, le sue lotte intestine, le trame diaboliche dei suoi capi, la sua storia tormentata. La storia di un mondo in cui tutti sono nello stesso tempo amici e nemici di tutti, professano lealtà e sono pronti all’inganno più subdolo, progettano congiure e imboscate, tradiscono e uccidono senza rimorsi. Era la prima volta che la mafia veniva descritta dal suo interno, la prima volta che veniva descritta la vita quotidiana dell’uomo d’onore, le sue amicizie, gli odi, gli affetti di un’esistenza dominata dalla paura di essere uccisi e dalla necessità di ammazzare.
Il libro viene ripubblicato con una nuova postfazione di Pino Arlacchi. Lo studioso, tra gli artefici della legislazione antimafia italiana degli anni ottanta, autore del progetto esecutivo della Dia, ripercorre passo dopo passo la sfida a Cosa Nostra, condotta in prima persona insieme a Chinnici, Falcone e Borsellino: dal tempo degli omicidi di La Torre e Dalla Chiesa alle confessioni di Buscetta, dagli anni della strategia stragista a oggi. Oggi, che la mafia non è stata ancora sconfitta. Oggi, che la battaglia è ancora aperta.
Per i visitatori di questo sito pubblico la mia replica all'articolo apparso il 28 febbraio 2014 sul Fatto Quotidiano e la risposta di Marco Travaglio, anch'essa pubblicata a pagina 19.
Il Fatto Quotidiano, 1 mar. 2014
DIRITTO DI REPLICA
Gentile direttore, nel lungo articolo del 28 febbraio pubblicato sul Fatto Quotidiano, Marco Travaglio sostiene che il sottoscritto, nel 2009, ha avanzato una interpretazione condivisibile della cosiddetta trattativa Stato-mafia, per poi smentirla di recente. Voglio rassicurare i suoi lettori. Non ho affatto cambiato idea, come è facile constatare leggendo sul mio sito le numerose analisi e dichiarazioni che ho prodotto quasi senza interruzione sul tema dal 2009 a oggi. Negli Anni ‘92-‘93 non c’è stata alcuna trattativa tra i vertici dello Stato e Cosa nostra. Al contrario, quegli anni sono stati un’epoca di scontro frontale tra la mafia e i suoi alleati interni alle istituzioni (pezzi della politica e degli apparati della sicurezza), e la grande criminalità esterna a Cosa nostra da un lato, e il resto dello Stato dall’altro.
«Il processo Stato-mafia si concluderà con il totale flop dell’inchiesta di Antonio Ingroia & soci. È una bufala su cui si sono costruite carriere immeritate: non c’è una sola prova seria a sostegno di questa allucinazione». A stroncare la madre di tutte le inchieste, quella che a Palermo ipotizza una trattativa per bloccare le stragi di mafia dopo il 1992-93, è Pino Arlacchi, tra i massimi esperti internazionali di criminalità organizzata. Nessuno può sospettarlo di ambiguità o cedimenti, la storia di Arlacchi parla per lui. Parlamentare europeo del Pd e in passato deputato del Pds, nonché vicepresidente dell’Antimafia e grande amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Arlacchi ha vissuto per 13 anni sotto scorta da quando, il 25 maggio 1994 nell’aula del tribunale di Reggio Calabria, Totò Riina lanciò un anatema contro «la combriccola dei comunisti» e fece i nomi dei suoi tre principali nemici: Luciano Violante, all’epoca presidente della commissione antimafia; Gian Carlo Caselli, che era procuratore capo di Palermo; e «quell’Arlacchi che scrive libri». Tommaso Buscetta, il primo grande pentito di mafia, disse subito: «Queste sono condanne di morte».
PISA. «Straordinario esempio di buongoverno che anticipa il modello di pubblica amministrazione che tutti vorremmo vedere». È il commento di Pino Arlacchi, europarlamentare Pd e noto studioso della sicurezza umana, all’iniziativa del prefetto Francesco Tagliente di istituire un Centro di sostegno per cittadini in situazioni di estremo disagio, che non di rado finiscono col suicidio. «Tagliente - prosegue Arlacchi - ha coinvolto 52 enti, dalle Camere di Commercio all’Inps, alle banche, alle associazioni professionali, ai sindacati, con lo scopo di fornire consulenze, aiuti e sostegno anche psicologico a imprenditori e cittadini in gravi difficoltà. In tre mesi ai centri di ascolto sono arrivate 637 richieste, 459 per bisogni primari, 106 di supporto psicologico e 72 di carattere finanziario. Il servizio si è attivato risolvendo situazioni difficilissime e salvando vite umane. Auspico l’estensione all’intero territorio nazionale di uno strumento nuovo ed efficace di riduzione del disagio derivante dalla crisi economica».
Alessandro Milan: Ieri Bernard-Henri Lévy ha fato un j'accuse molto duro nei confronti dell'Europa, [...]. Dov'è L'Europa, cosa sta facendo?
Pino Arlacchi: «La penso esattamente all'opposto di Lévy. Parla dell'Europa in termini assolutamente estremi.
L'Europa ha delle notevoli responsabilità in quello che sta succedendo. Sta intervenendo in un Paese che non è un protettorato dell'Europa, obbligandolo a fare una scelta che questo Paese non è in grado di fare. L'Ucraina è un Paese indipendente, ha un suo parlamento, una sua democrazia, un suo governo democraticamente eletto [...]
L'Europa sta premendo perché un Paese profondamente spaccato e diviso alla fine si sfasci completamente definitivamente. Io sono tra i critici, e come me la maggioranza del Gruppo socialisti al Pe. Siamo tra i critici più forti del modo in cui l'Europa sta intervenendo in questa crisi dell'Ucraina [...]
Dal punto di vista dei resoconti della stampa, soprattutto la stampa occidentale c'è molto da dire.
E' vero che il Governo ha reagito con grande brutalità e in un modo che non sarebbe tollerabile in Europa [...] ma è anche vero che non succede in Europa che una folla guidata da estremisti violenti armati attacchi la polizia [...]
Quando vengono occupate con la forza le istituzioni democratiche questo in Europa si chiama in un altro modo [...]
La maggior parte dei manifestanti non sono estremisti, è che ormai la partita è sfuggita di mano a chi li ha incoraggiati irresponsabilmente, a chi interferisce ogni giorno negli affari interni di questo Paese [...]
«Il processo Stato-mafia si concluderà con il totale flop dell’inchiesta di Antonio Ingroia & soci. È una bufala su cui si sono costruite carriere immeritate: non c’è una sola prova seria a sostegno di questa allucinazione». A stroncare la madre di tutte le inchieste, quella che a Palermo ipotizza una trattativa per bloccare le stragi di mafia dopo il 1992-93, è Pino Arlacchi, tra i massimi esperti internazionali di criminalità organizzata. Nessuno può sospettarlo di ambiguità o cedimenti, la storia di Arlacchi parla per lui. Parlamentare europeo del Pd e in passato deputato del Pds, nonché vicepresidente dell’Antimafia e grande amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Arlacchi ha vissuto per 13 anni sotto scorta da quando, il 25 maggio 1994 nell’aula del tribunale di Reggio Calabria, Totò Riina lanciò un anatema contro «la combriccola dei comunisti» e fece i nomi dei suoi tre principali nemici: Luciano Violante, all’epoca presidente della commissione antimafia; Gian Carlo Caselli, che era procuratore capo di Palermo; e «quell’Arlacchi che scrive libri». Tommaso Buscetta, il primo grande pentito di mafia, disse subito: «Queste sono condanne di morte».
Il politico, amico di Falcone e Borsellino, nel numero di Panorama in edicola dal 20 febbraio spiega che "...non c'è una prova seria a sostegno di questa allucinazione"
«Il processo Stato-mafia si concluderà con il totale flop dell’inchiesta di Antonio Ingroia & soci. È una bufala su cui si sono costruite carriere immeritate: non c’è una sola prova seria a sostegno di questa allucinazione». In un’intervista che il settimanale Panorama pubblicherà sul numero in edicola da domani, giovedì 20 febbraio, così parla Pino Arlacchi, amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nonché tra i massimi esperti internazionali di criminalità organizzata. Arlacchi, eurodeputato del Pd e già parlamentare del Pds per due legislature, stronca la madre di tutte le inchieste: quella che a Palermo ipotizza una trattativa per bloccare le stragi di mafia dopo il 1992-93.
Secondo Arlacchi, il processo è basato su elementi inconsistenti: «Ci sono solo le vanterie di un killer, Gaspare Spatuzza, che in quanto tale non poteva sedere al tavolo dei negoziati e che parla per sentito dire; più le bufale di un calunniatore patentato come Massimo Ciancimino. Mi vanto di essere stato il primo a denunciare le panzane di questo personaggio, esaltato oltre il lecito e trasformato in un’icona dell’antimafia dai megafoni della Procura di Palermo».
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Non sono una persona complicata. La mia vita pubblica ruota intorno a due cose: il tentativo di capire ciò che mi circonda, da sociologo, e il tentativo di costruire un mondo più decente, da intellettuale e militante politico.
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