Arlacchi: le mafie oggi si arricchiscono ben poco col business della droga
La Gazzetta del Mezzogiorno, 13 gen. 2014
di Benedetto Sorino
Professor Pino Arlacchi, chiediamo a lei, ex direttore dell'ufficio Onu per la lotta contro il traffico di droga, cosa pensa della proposta di Nichi Vendola di legalizzare la marijuana. Servirebbe ad ostacolare le mafie che si arricchiscono anche attraverso questo business criminale?
Dico a Vendola che la sua non è una proposta originale, anzi è fra le più ricorrenti, ogni tanto torna alla ribalta. Oggi
non ha senso, il quadro è sicuramente cambiato.
Perché si dice scettico? La legislazione italiana in questo campo non ha forse bisogno d’essere rinnovata?
Di certo nel nostro Paese occorre un aggiornamento legislativo, penso alla legge Fini-Giovanardi, ovviamente. Qualche
cambiamento è necessario, ma va detto chiaramente che l’impianto complessivo della normativa europea sulle droghe regge e ha prodotto finora buoni risultati.
Il suo parere sembra del tutto controcorrente.
In Italia bisogna smetterla con i catastrofismi, con le assurde esagerazioni. Vogliamo distruggere i due pilastri
dell’approccio europeo che hanno dato colpi decisivi alla lotta contro il narcotraffico?
Quali sono questi pilastri?
Il primo, importantissimo, è fondato sulla non criminalizzazione penale dei consumatori. Così il consumo puro e semplice non viene sanzionato in quasi nessun Paese dell’Unione. Il secondo è la costante repressione del traffico. Entrambe le cose hanno funzionato. Si può affermare la fine dell’emergenza. Negli Stati Uniti, al contrario,contrario,
dove la criminalizzazione del consumo è ancora imperante, il problema è più grave.
In alcuni Stati Usa, tuttavia, s’affermano politiche ben più liberalizzatrici.
È tipico degli americani passare da un eccesso all’a ltro, con effetti complessivamente deleteri. Roba da Terzo Mondo.
Alla base del ragionamento di Vendola, il quale comunque non è un antiproibizionista, c’è l’idea che legalizzare
la marijuana possa togliere potere di condizionamento ai narcotrafficanti. Gli antiproibizionisti invece affermano che pure l’alcol e il tabacco provocano dipendenza e quindi proibire le droghe leggere aiuta soltanto il proliferare delle mafie.
La tesi antiproibizionista è vecchia di quarant’anni, non tiene affatto conto di quanto è mutato il mercato della droga
sotto la spinta della globalizzazione. I proventi della criminalità organizzata giungono oggi in ben più larga misura dalle estorsioni e dagli appalti delle pubbliche amministrazioni. Larga parte del traffico passa ora attraverso catene di piccoli spacciatori, che agiscono per proprio conto. Rifornirsi di hashish in Marocco o di eroina in Turchia o Afghanistan è ora molto più facile.
I radicali accusano invece lei di sponsorizzare una strategia obsoleta.
Rappresentano essi ormai una contrapposizione retorica. Sono come quei soldati giapponesi che per anni hanno continuato a nascondersi e combattere non sapendo che la guerra era finita da un pezzo.
Lei dice che la criminalità sta perdendo colpi.
Verissimo. Per fare un solo esempio in Italia è crollato il numero degli omicidi, 500-600 l’anno, mentre erano molti
di più soltanto qualche decennio fa. Gli affari legati alla droga sono diminuiti anche a causa della caduta verticale
dei prezzi, tra il 70 e l’80 per cento per l’eroina e la cocaina.
Altri dati lo confermerebbero?
Una ricerca fatta dall’Università Cattolica è l’unica valida e fondata. Altre equivalgono al metodo Stamina per
la loro scientificità, cioè zero. Il fatturato dei mercati illegali vale da un un minimo di 4,5 a un massimo di undici
miliardi di euro. E i profitti della mafia legati alla droga,nonostante le balle raccontate da tipi come Saviano, valgono
appena tra 256 e 491 milioni. Vorrei poi aggiungerealtri particolari.
Quali?
Le nuove catene di distribuzione «fai da te» sono molto più vulnerabili alle attività delle forze dell’ordine. È molto
facile arrestare gli spacciatori a Palermo o a Bari perché ora hanno pochi strumenti di difesa. Finiscono per affollare
le carceri ben più di ladri ed assassini, com’è ben noto. Ma ci sono comunque metodi ben più efficaci per decongestionare le carceri che quello di legalizzare le droghe leggere.
Lei è stato l’artefice di un piano per l’estirpazione delle coltivazioni di oppio in Afghanistan che non ha avuto successo.
Ebbi il sostegno del ministro degli Esteri russo, Ivanov. Il Cremlino era pronto a finanziare la sostituzione di quelle coltivazioni, ma la comunità internazionale al dunque non ci ha mai dato retta finora. Al Parlamento europeo ho preparato un piano per rilanciare questa strategia.