Il Quotidiano della Calabria, 31 mag. 2014
di Giulia Veltri
AMAREGGIATO e senza parole. Pino Arlacchi - fra gli ideatori della Dia, già vicesegretario generale dell’Onu ed eurodeputato uscente - ha sfiorato la rielezione a Bruxelles. Se non ce l’ha fatta, per Arlacchi c’è un solo colpevole: il Pd calabrese.
E' primo dei non eletti della circoscrizione Sud: ci sono possibilità di un suo ritorno a Bruxelles? «Qualche possibilità c'è ma non nell'immediato. Vedremo, è difficile fare previsioni in questo momento. Sono molto soddisfatto del risultato perché si tratta di voti di opinione, espresse da persone che credono nella buona politica e nella legalità e nei valori che io rappresento. Ho fatto una campagna elettorale entusiasmante. Le mie manifestazioni sono state sempre affollate, con oltre 400/500 persone, in tutto il collegio. Anche nel sud esiste una società civile vibrante che ha voglia di cambiamento. Ho raccolto quello che ho seminato e di questo sono contento».
Che campagna elettorale è stata in Calabria e quale, soprattutto, l'apporto che ha ricevuto dal Pd calabrese?
«Il partito mi ha ignorato, non ho avuto alcun tipo di sostegno da parte del Pd calabrese, con il risultato oggi di non avere nessun rappresentante in Europa, anche perché si sapeva perfettamente che Pirillo e Maiolo non ce l'avrebbero mai fatta ad entrare nel Parlamento europeo. Nonostante ciò, il comportamento di gran parte del partito è stato di chiaro ostacolo alla mia candidatura. Hanno appoggiato i candidati più stravaganti piuttosto che me e questa linea mi è costata almeno 3mila voti in meno. Bisognerebbe rivolgersi ai dirigenti calabresi e chiedere il motivo di questa scelta».
Secondo lei come mai il Pd non l'ha sostenuta? «Non so darmi una risposta. Dovrebbero rispondere i dirigenti. Io – oltre a un sostegno bispartisan da parte della società civile - ho avuto solo l'aiuto di qualche consigliere regionale, come Bruno Censore, Mario Franchino e Nino De Gaetano, che si sono spesi senza risparmio. O ancora l'ex sindaco Spezzano albanese, Antonio Pucci. Si tratta, ripeto, di voti raccolti fuori dalle correnti del partito. Credo che il Pd calabrese abbia compiuto un atto di autolesionismo puro, perché si sarebbero potuti distribuire i voti su tre candidati e garantire così alla Calabria un punto di riferimento dentro al Parlamento europeo.
Che cosa vuol dire, in termini pratici, non avere più un parlamentare espressione del territorio? Cosa perde la Calabria senza un riferimento a Bruxelles? Ce lo spiega, lei che è stato in questi anni fra i deputati più attivi del gruppo Pd e dell'intera delegazione socialista?
«Sicuramente perde chance. La mancanza di un europarlamentare rende la Calabria ancora più marginale. Alla luce delle mie esperienze, sarei potuto andare a presiedere la commissione più importante che è quella esteri e concorrere per diventare presidente del Consiglio o del gruppo socialista, perché parlo francese e inglese al contrario di altri deputati risultati eletti».
Qual è il bilancio del suo impegno a Bruxelles dal 2009 a oggi?
«Ho dedicato gran parte del mio impegno alla Calabria, su due direttrici: il porto di Gioia Tauro e la valorizzazione dei beni culturali e archeologici. Per Gioia Tauro ho creato un tavolo di lavoro a Bruxelles che si è poi tramutato in cabina di regia sullo sviluppo dell'area portuale e con altri dieci parlamentari ho lavorato per la creazione della Zes (zona economica spe-
ciale) e l’istituzione degli Stati generali del porto con due edizioni annuali. Ho elaborato il progetto Magna Graecia, orfano purtroppo del sostegno della Regione, per la valorizzazione dei beni archeologici e culturali».
Si avvicina in Calabria un altro appuntamento elettorale importante: le regionali. Secondo lei come dovrebbe comportarsi il Pd: primarie sì, primarie no.
«Il Pd calabrese soffre la crisi di un gruppo dirigente che è privo di qualunque legittimazione, se non ci fosse stato l'effetto Renzi sarebbe stata una deblace. Sono riusciti nel capolavoro di non mandarmi in Europa facendo del male alla Calabria. Vedrei con favore una candidatura nuova, fuori dagli schieramenti, che non sia il prodotto della solita contrattazione fra quattro capicorrente».
E se lo proponessero a lei: accetterebbe una candidatura a presidente della Regione?
«Me lo hanno proposto in tanti, qualcuno si è anche fissato ma non intendo entrare in campo».
Parliamo della spesa dei fondi strutturali. Che cosa fare per migliorare la quantità e la qualità della spesa sui territori?
«La priorità è sottrarre la spesa alle Regioni per darla direttamente a Comuni, consorzi di Comuni oppure vanno amministrati da un'autorità centrale. La Calabria, con l'85% di fondi non spesi, ci dice dove non dobbiamo andare, quali
errori non ripetere più».
Tra i fondatori della Dia, esperto internazionale di lotta alla criminalità organizzata. Qual è la qualità dell'antimafia in Calabria?
«Non c'è bisogno né di settimane bianche, né di navi della legalità. Questa è l'antimafia da parata, che è però priva di credibilità. L'antimafia è lotta alle illegalità e alla corruzione politica. Alla testa della criminalità organizzata ci sono
non più i boss ma i politici. Il capo supremo è un capo politico che drena le risorse pubbliche, favorisce i gruppi criminali ed è attore economico. E' stata indebolita l'ala militare ma si è data una possibilità ai colletti bianchi».
Come si strutturerà ora il suo impegno pubblico, cosa farà per i 25mila calabresi che l'hanno votata?
«Non mi ritiro dalla vita pubblica e continuerò le mie battaglie. Il sostegno di 25mila calabresi non svanisce, perché si tratta di preziosi voti d'opinione, sganciati dalle logiche correntizie e che nulla hanno a che fare con i voti clientelari e di
cordata. Quel che è certo è che li farò valere in tutte le prossime scadenza, interne ed esterne al Pd»