Il Fatto Quotidiano, 29 Ottobre 2019
Una lite tra spacciatori di droga avvenuta a Roma e degenerata in omicidio aveva fatto partire in quarta, pochi giorni fa, l’isteria mediatica nazionale, finché il capo della Polizia e le indagini hanno fortunosamente stoppato l’inizio di un nuovo assist a Salvini.
L’episodio è però servito a Roberto Saviano e ai soliti radicali per rilanciare l’idea, ormai cinquantennale, che legalizzando le droghe leggere si risolverebbero in un sol colpo tre problemi: quello delle mafie, private della loro maggiore fonte di profitto, quello della violenza generata dallo spaccio e quello del consumo degli stupefacenti i quali, diventati leciti, perderebbero l’appeal del proibito. Questa idea è una proposta simil-intelligente perché si presenta bene, come un lineare ragionamento neoliberal, per poi soccombere di fronte ai fatti. E di fronte alle date, poiché riflette una situazione del mercato delle droghe che non esiste più, in Italia e nel mondo, da circa un quarto di secolo. È dalla metà degli anni 90, infatti, che l’azione antimafia italiana e mondiale ha determinato l’inizio del declino del business della droga e la fine degli oligopoli criminali che accumulavano grandi fortune. Ed è da prima di quella data che l’espansione del numero dei consumatori nei mercati più ricchi (Europa e Usa), soprattutto per le droghe pesanti, si è anch’essa esaurita. Ne è derivata una caduta verticale dei prezzi che ha ridotto del 70-80 per cento fatturato e profitti della droga: un chilo di eroina da strada costava 196 euro nel 1990, 56 nel 2006 e 50 oggi. E lo stesso vale, più o meno, per la coca.
All’epoca del mio primo viaggio negli Usa con Giovanni Falcone, nel 1982, un chilo di eroina venduta all’ingrosso da Cosa Nostra nel mercato di New York valeva l’equivalente odierno di 530 mila euro. Abbastanza da far arricchire l’establishment mafioso di Palermo. Quel chilo di eroina oggi costa tra i 15 e i 20 mila euro. Contemporaneamente, è partita in quegli anni la grande offensiva antimafia che ha finito col mettere fuori gioco – in Italia, nelle Americhe e nel Sud-est asiatico – tutti i maggiori cartelli della droga. Un onda lunga che è culminata nella Convenzione di Palermo del 2000 contro le mafie mondiali: il sogno di Falcone che mi onoro di avere realizzato come direttore del Programma antidroga dell’Onu. Di conseguenza, i rischi del traffico sono diventati proibitivi: gli archivi antidroga sono oggi gli unici davvero globali, i sequestri mondiali tolgono dal mercato i due terzi della coca prodotta e il 50 per cento dell’eroina.
La risposta della criminalità è stata duplice: da un lato si è ristrutturata in centinaia di piccoli cartelli, meno vulnerabili alle indagini, e ha molto ridotto l’uso della violenza. Dall’altro, ha aperto nuovi campi, meno redditizi ma a basso rischio, quali la contraffazione, le truffe informatiche, il contrabbando di risorse naturali e di specie protette, assieme alla ri-valorizzazione, nel caso italiano, del rapporto con la politica e la spesa pubblica corrotta delle amministrazioni, nonché delle estorsioni e dei monopoli dei mercati legali territoriali (la mafia imprenditrice).
A eccezione della ’ndrangheta, ancora attiva nel traffico della cocaina, la grande criminalità italiana ha seguito la parabola globale: i profitti della droga sono oggi meno del 20 per cento del suo fatturato totale, contro l’80 per cento di 40 anni fa. Legalizzazione o liberalizzazione non le darebbero perciò alcun colpo di grazia, ma la spingerebbero ulteriormente verso le attuali fonti di profitto. Cosa succederebbe ai consumi? Se i consumatori potessero disporre di un’offerta legale e controllata non diminuirebbe forse l’obbligo di rifornirsi dalla delinquenza? Certamente sì, se fosse possibile contenere, però, l’immenso incentivo all’aumento del numero dei consumatori. Questa obiezione, dopo ciò che è avvenuto negli Stati Uniti, è insuperabile. Non si disponeva fino a poco tempo fa di alcun esempio di legalizzazione o liberalizzazione su scala nazionale. Finché ci hanno pensato gli Usa a colmare la lacuna realizzando dal 2000 in poi una quasi totale decriminalizzazione della vendita e del consumo degli stupefacenti. Senza dichiararlo, e in stile neoliberal, affidando alle imprese private legali il compito di sostituire l’offerta mafiosa. Le grandi industrie farmaceutiche si sono messe a produrre e vendere una serie di farmaci antidolorifici a base oppiacea decine di volte più potenti dell’eroina in quanto a capacità di assuefazione. Con la complicità dei medici americani, e tramite lobbismo e corruzione, queste droghe legali hanno inondato il mercato facendo esplodere il numero dei tossicodipendenti, passati da meno di 1 a oltre 11 milioni, determinando una ecatombe annuale di morti per overdose, oltre 70 mila nel 2018 (10 volte il dato europeo), prima causa di morte sotto i 50 anni di età. Un minimo di aggiornamento su tutta la materia mi parrebbe quindi indispensabile prima di lanciare, qui da noi, slogan obsoleti.