COME RISOLVERE LA CRISI COREANA
di Pino Arlacchi
11 settembre 2017
Un giorno sì e l’altro pure, i media italiani ed internazionali ci rifilano la storiella dell' insano ragazzetto nordcoreano che scherza con il fuoco, allenandosi a lanciare missili contro una potenza in grado di incenerirlo in poche ore.
Dico storiella perché racconto omissivo e fazioso di ciò che davvero accade.
Il tirannello in realtà sa quello che fa, e persegue una linea di calcolata provocazione, iniziata dai suoi predecessori nel 2003 con il ritiro della Corea del Nord dal trattato di non proliferazione, in modo da potersi costruire le bombe atomiche nella legalità.
La provocazione ha finora sempre funzionato. Grazie al fatto che l' America abbocca sempre alla stessa esca. Basta offrirle l' occasione di mostrare che il possesso della forza armata più potente del pianeta serve a qualcosa, e le alternative all' uso della forza svaniscono dal tavolo dei suoi presidenti.
E dai media occidentali.
Solo il caso del nucleare iraniano ha fatto eccezione, ed ha confermato la regola. Non è questione di presidenti USA forti o deboli, democratici o repubblicani. Che siano razionali e prudenti come Obama, o populisti mezzi squilibrati come Trump, tutti finiscono con l’ obbedire alle logiche del "deep state", lo stato profondo che governa gli Stati Uniti, e che rappresenta ogni giorno di più la principale minaccia alla sicurezza del mondo. Lo dicevo nel mio ”L’ inganno e la paura” stampato nel 2009. Oggi lo dice perfino il Financial Times (Rachman, 14 agosto 2017).
L' informazione dominante oscura la narrativa seria della crisi coreana. Narrativa condivisa da un larghissimo campo, che va dai conoscitori dell’ Asia, ai paesi confinanti o vicini alla Corea del Nord, ai BRICS, al resto del mondo. Narrativa condivisa soprattutto dalla parte più direttamente interessata, che è la Corea del Sud.
Cosa dice questa narrativa?
Dice in sostanza due cose. La prima è che Kim non è pazzo. E' cosciente dei rapporti di forza tra il suo regime da un lato, e non solo gli USA, ma anche la Corea del Sud, dall' altro. Il PIL della sola Corea del Sud è 40 volte quello del Nord. In una guerra vera, dove la forza economica si trasforma in capacità militare, non ci sarebbe partita.
Kim è un despota ossessionato dalla paura di essere aggredito dagli USA e di fare la fine di Saddam e di Gheddafi, due tiranni distrutti dalla rinuncia a costruirsi l' arma nucleare e dalla fiducia malriposta nei paesi occidentali, che li hanno rovesciati dopo averli sostenuti, armati e blanditi per vari decenni. Di conseguenza, come ha adombrato Putin, il baby-despota è pronto a ridurre il suo popolo a mangiare erba fino a che dovrà temere per la propria sicurezza. La sua non è una sfida disperata e folle, ma una “carta di sopravvivenza” che viene gettata sul piatto.
Si tratta dell' ultima carta rimasta al governo nordcoreano dopo essere stato messo in un angolo da un paese, gli Stati Uniti, che da 17 anni si rifiuta di sedersi a un tavolo di negoziato sul futuro della penisola coreana. Aspettando, come Obama, il crollo di un regime che non crolla. E passando, con Trump, alla minaccia militare dopo avere più volte dichiarato in campagna elettorale di voler aprire una trattativa diretta con Kim.
La seconda parte della narrativa ci dice che la via del negoziato con il governo nordcoreano è più aperta che mai, ed è l' unica percorribile. Perché?
Perché la guerra al Nord è impensabile per via delle enormi perdite umane che ricadrebbero sulla Corea del Sud, che vi si opporrebbe tralaltro con tutte le sue forze. E perché anche il cambio di regime non è praticabile, visto che quella crudele dinastia ha dimostrato di poter resistere alle crisi più dure, come la grande carestia degli anni '90 costata centinaia di migliaia di vite.
Gli Stati Uniti sono i soli ad insistere sulla linea perdente dell' attacco militare, delle sanzioni, e della caduta del regime del Nord.
Questa opzione è profondamente impopolare nella regione, e viene rigettata con veemenza da più parti. Quanti tra i soloni dell’ informazione si sono preoccupati di ricordare che l’ aspirazione più profonda della popolazione coreana non è diversa da quella delle ex- due Germanie. I coreani di ogni ceto e nazionalità vogliono la riunificazione del loro popolo e non la guerra. E un paio di decenni fa avevano imboccato proprio questa strada con la cosiddetta “Sunshine policy”, durata fino al 2008 e premiata con il Nobel per la pace al presidente sudcoreano.
La soluzione auspicata dal resto del mondo è un negoziato che inizi con la cessazione delle esplosioni nucleari da un lato e con la fine delle esercitazioni militari ai confini nordcoreani dall' altro. Una trattativa a largo raggio, che prosegua fino a sboccare in un accordo simile a quello concluso con l' Iran: stop al nucleare da una parte, e rilascio di una garanzia di sicurezza a lungo termine dall' altra. Garanzia fatta di aiuto allo sviluppo dell' economia del Nord nel contesto di una pacificazione con il Sud che preluda alla riunificazione delle due Coree.
Quello che ho appena riferito è il programma di governo del Presidente appena eletto della Corea del Sud.
Ne avete mai sentito parlare?