QUEI CARTELLI CRIMINALI CHE NON SONO MAI NATI

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di Pino Arlacchi
 
Il Corriere della sera
17 Settembre 2017
 
     Il Viminale ha diffuso di recente alcuni dati in grado di lasciare di stucco  le Cassandre che imperversano nella vita pubblica italiana. Queste cifre mostrano come la criminalità più violenta in Italia è continuata a diminuire anche quest’anno, dopo aver toccato nel 2016 il suo minimo storico di 397 omicidi. 
     Sono 0.65 morti violente per ogni 100mila abitanti. E’ un dato tra i più bassi del mondo, ed esprime un trend solido, che dura ininterrotto da venticinque anni.  
   Per dare un’idea: nel 1991 si verificarono quasi 2.000 uccisioni, 1.136 delle quali nel triangolo criminale Campania-Sicilia-Calabria, regioni dove l’ ultraviolenza arrivò a superare i livelli di luoghi-simbolo come New York e Chicago.
     La violenza più grave (quella della criminalità organizzata, dei furti e delle rapine col morto, delle vendette, delle liti e degli odi familiari più estremi)  è decresciuta  costantemente al Nord come al Sud, nelle metropoli e nelle province in un paese che nonostante tutto ha continuato ad incivilirsi invece di incanaglirsi.
     Non siamo mai stati così sicuri, soprattutto nelle città più grandi. Roma, Genova, Milano, ma pure Palermo, Catania e perfino Napoli hanno visto crollare la violenza letale a livelli mai conosciuti.
   La violenza contro le donne è in Italia la più bassa d’ Europa. Chi avesse dei dubbi può leggersi l’ analisi di Dalla Zuanna-Minello su “il Foglio” del 27 agosto. 
     
 Il declino della violenza criminale non è stato interrotto né da un decennio di crisi economica, né da una colossale ondata migratoria.
     Esso è cominciato proprio quando la popolazione nata all’ estero ha iniziato una crescita di quasi venti volte, da 340mila individui del 1991 ai quasi 6 milioni di oggi.
  Un esercito di giovani maschi provenienti da quasi ogni parte del pianeta, candidati naturali al disadattamento e alla protesta violenta, si sono stabiliti in Italia in modi sostanzialmente pacifici. Essi hanno smentito i profeti di sventura che li vedevano protagonisti di una impennata generale della delinquenza, e non hanno riempito i vuoti creati nei piani alti della malavita dall’ offensiva antimafia post-Capaci e Via D’ Amelio.
   Una contenuta minoranza di nordafricani e latinoamericani (in prevalenza irregolari) sono entrati, è vero, nelle reti di distribuzione delle droghe mentre albanesi e romeni importavano giovani prostitute e altri si dedicavano agli scippi ed ai furti. 
   Ma non si sono formati cartelli criminali in grado di sostituire Cosa Nostra, e la strada della delinquenza non è riuscita, in fin dei conti, ad attrarre numeri significativi di immigrati.  
Non siamo in balìa delle mafie di stranieri immigrati per due ragioni principali. Da un lato la crescita di efficienza delle nostre  forze di polizia lungo gli stessi anni ’90 ha chiuso gli spazi per la nascita di gruppi criminali in grado di agire su vasta scala. 
     Dall’ altro, questo contingente di emigrati è composto in larga parte da soggetti che nutrono poca simpatia verso il crimine organizzato perché già vittimizzati dalle mafie dei Paesi di origine, e perché sfruttati ferocemente dai trafficanti di esseri umani.
      E’ anche per queste ragioni che la società italiana è stata capace di assorbire l’ ondata migratoria degli ultimi venticinque anni senza trasformarsi in un campo di battaglia e senza creare ghetti ed odi diffusi.
    Il trend depressivo della violenza e la spinta verso l’ incivilimento, che sono universali, hanno potuto così dispiegarsi anche nel nostro Paese.  
Consentendo ai governi Renzi-Gentiloni di costruire una strategia verso l’ immigrazione la cui eccellenza viene adesso riconosciuta in tutta Europa. 
   Tutto ciò non piace agli imprenditori della paura, che non sono solo i populisti e l’ estrema destra, ma  anche chi nella comunicazione produce a getto continuo mostri, allarmi gonfiati e catastrofi, facendoci perdere la fiducia in un mondo più decente.  
 
 
 
 

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