Mercati illegali, criminalitĂ  organizzata e la risposta dell'Unione Europea

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L’emergere delle Mafie imprenditrici e dei mercati illegali

La lotta contro la criminalità organizzata, nell’ Unione Europea ma anche altrove, assomiglia un pò alla lotta tra una volpe e un leone, dove l’ astuzia e l’ agilità della prima prevalgono molto spesso sulla forza del secondo.

Negli ultimi decenni, l’ evoluzione della criminalità organizzata in Europa ha seguito quella dei principali mercati illegali, ed ha tratto vantaggio sia delle opportunità offerte dalla compressione del tempo e dello spazio operata dalla globalizzazione, sia dal processo di unificazione e di allargamento dell’ Unione Europea. Piccoli mercati illeciti locali si sono espansi verso una dimensione nazionale, integrandosi poi in un sistema internazionale. E all’ inverso, le forze dei mercati criminali mondiali hanno rotto barriere locali in una rivoluzione dall’ alto e dall’ esterno che ha promosso instabilità e conflitti in varie regioni ai confini dell’ Europa, ed anche dentro di essa.

Fino all’ inizio degli anni ’90, questo processo si è svolto secondo linee abbastanza simili nei diversi contesti europei. E’ stato guidato da gerarchie criminali “dure”, ben visibili e violente, attente al dominio territoriale, gelose della propria autonomia ed identità rispetto ad altre componenti della galassia criminale come il terrorismo e la criminalità economica.

I mercati e le mafie che hanno guidato questa espansione sono stati quelli dei narcotici prodotti nelle regioni extra-europee e distribuiti nei due mercati-chiave dell’ Europa Occidentale e degli Stati Uniti. Tra gli anni ’50 e gli anni ’90 del secolo scorso, prezzi, consumatori e fatturati di eroina, cocaina e cannabis sono cresciuti un po’ dappertutto in Occidente.

I maggiori beneficiari di questa espansione sono state le coalizioni criminali italiane, balcaniche, mediorientali e latinoamericane nonché la vecchia, intramontabile, mafia cinese.

Questi gruppi delinquenziali sono rapidamente passati dall’ estorsione, dal racket e dal contrabbando su scala locale alla produzione e al commercio internazionali di stupefacenti. Il loro uso dei rapporti di corruzione politica nei paesi di origine, unito alla loro immersione nelle diaspore etniche e nelle vaste comunità di immigrati residenti nei luoghi di distribuzione dei narcotici hanno assicurato loro protezione dalle indagini di polizia e canali privilegiati di riciclaggio dei profitti.

In alcuni contesti come l’ Italia del Sud, la conquista di enclaves territoriali molto vaste sull ‘onda della crescita dei narco-profitti ha significato per le mafie ivi dominanti la possibilità di espandere la loro presenza nei mercati leciti, mettendo in atto una micidiale concorrenza verso le imprese legali ed appropriandosi di una quota significativa dei fondi nazionali ed europei destinati allo sviluppo delle aree depresse.

In altri contesti, dotati di una tradizione commerciale più cosmopolita, le mafie della droga si sono anche affacciate ai mercati contigui delle armi e degli esseri umani, senza spostare però il loro baricentro, fino agli ’90 del Novecento, dal settore più lucroso, quello dei narcotici. Queste stesse gerarchie criminali si sono collegate in certi casi al terrorismo nazionalista e separatista, ma sempre sulla base di accordi ad hoc e di una netta distinzione di ruoli e funzioni. L’ esempio più classico di ciò è stata la collaborazione tra gruppi terroristico-nazionalisti turchi da una parte, ed i cartelli della droga turchi nell’ organizzazione dell’ attentato al Papa nel 1981.

La minaccia o l’ uso della violenza fisica è stata una pietra angolare dell’ intervento di queste formazioni criminali nei mercati illeciti interni e globali. Le guerre di mafia in Italia negli anni ’60 ed ’80, nei Balcani durante la dissoluzione della Yugoslavia, in Colombia e Bolivia lungo gli anni ’70 e ’80, e nel Sudest asiatico durante il periodo di dominio del Triangolo d’ Oro come maggiore zona di produzione dell’ oppio, queste guerre sono state combattute da famiglie, cartelli e federazioni illegali dotate di sovranità territoriale, mezzi di coercizione e dinamiche non dissimili talvolta da quelle degli Stati.

L’ uso della violenza era anche una risorsa di ultima istanza e una garanzia del rispetto dei contratti tra i cartelli criminali da un lato e la criminalità finanziaria dall’ altro. Anche questa forma di grande delinquenza si è trovata a crescere in parallelo alle mafie, ma fuori dai riflettori dei mezzi di comunicazione e delle autorità pubbliche, interessate al problema solo in occasione dei fallimenti di alcune banche o della fine tragica di alcuni banchieri.

La risposta europea

La risposta legislativa, politica e giudiziaria dei singoli paesi europei alla sfida delle nuove entità criminali è arrivata tardi, cioè tra la fine degli anni ’80 e l’ inizio degli anni ’90. Fino agli anni ’80, nel momento cioè di massima espansione dei mercati illeciti, l’ attenzione dell’ opinione pubblica e dei governi europei era rivolta al fenomeno del terrorismo. In effetti, le attività terroristiche hanno avuto come teatro privilegiato l’ Europa per l’ intero ventennio 1970-1990. Tra le regioni del mondo, come mostra il grafico seguente, basato sul database della Rand corporation che registra tutti gli eventi di terrorismo dal 1968 ad oggi, è l’ Europa ad essere la regione più colpita. Su 5433 attentati accaduti nel pianeta tra il 1970 ed il 1989, ben 1837, pari al 33,8% hanno avuto luogo nel territorio europeo, contro 1232 in America Latina, 1200 nel Medio Oriente, e solo 388, il 7,1%, in America del Nord.

Attentati terroristici internazionali dal 1970 al 1989

REGION

Incidents

%

Western Europe

1837

33.8

Latin America, Caribbean

1232

22.7

Middle East, Persian Gulf

1200

22.1

North America

388

7.1

Africa

334

6.2

South Asia

205

3.8

Southeast Asia, Oceania

149

2.7

East, Central Asia

66

1.2

Eastern Europe

22

0.4

TOTAL

5433

100

Fonte: RAND MIPT Database.

L’aumento dell’ allarme anti-terrorismo in Europa ha segnato gli anni ’70 ed ’80, ed ha seguito da vicino il grafico degli attentati. Questo tocca il suo culmine, come mostra la figura che segue, nel 1985-86, per poi scendere rapidamente fino ad oggi.

Da allora in poi, nel nostro continente si è verificata una rapida diminuzione degli attentati, ma quasi nessuno si era accorto che nel frattempo l’ insidia criminale organizzata aveva messo profonde radici, approfittando proprio della polarizzazione dell’ allarme collettivo sull’ emergenza terrorismo. 

Fino ai primi anni ’90, l’ Italia era l’ unico paese europeo dove il problema della criminalità organizzata si trovava al centro dell’attenzione pubblica. Già dal 1982, data dell’ assassinio a Palermo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, l’ Italia aveva iniziato a rinnovare la sua legislazione antimafia mettendo al centro del suo sforzo la necessità di colpire il lato economico ed imprenditoriale della grande criminalità abolendo il segreto bancario per le indagini giudiziarie, sequestrando i beni di origine illecita e specializzando e centralizzando i corpi di polizia antimafia.

Attentati terroristici internazionali in Europa 1968-2007

[immagine mancante]

Fonte: RAND MIPT Database. Attentati con almeno 1 fatalità.

L’estensione agli altri paesi del continente delle preoccupazioni sulla minaccia criminale, nonché la creazione dei primi strumenti per combatterla come pericolo comune, è un grande merito dell’ Unione Europea e del Trattato di Maastrich del 1992. Nonostante il trattato non identificasse ancora in modo esplicito la criminalità organizzata come una grave minaccia, o come una componente centrale del “terzo pilastro” dell’ Unione  – elementi ben presenti, invece, nel trattato di Amsterdam del 1997 – esso ha proposto la creazione dell’ EUROPOL ed ha aperto la strada alla leadership dell’ Unione nella lotta alla criminalità organizzata.

L’Unione Europea ha in un certo senso anticipato i suoi Stati membri nel mettere a fuoco la nuova minaccia. Da allora, l’ evoluzione della politica europea in questa materia è stata costante. Tra il 1998 e il 1999 viene formulato un piano di azione e viene approvata, a Tampere, Finlandia, una strategia d’ insieme che prevede pool investigativi comuni tra paesi dell’ Unione, la creazione di una task force formata dai capi delle polizie, la nascita di EUROJUST con lo scopo di coordinare gli sforzi investigativi a livello di magistratura inquirente, nonché un salto di qualità nella lotta al riciclaggio e nell’ azione delle unità di intelligence finanziario.

Nel 2001, sull’ onda delle reazioni all’ 11 settembre, viene approvata una delle misure più potenti della lotta contro ogni genere di criminalità transnazionale: il mandato di cattura europeo. Questa norma crea di fatto uno spazio giuridico comune, eliminando d’un colpo le pesanti procedure di reciprocità giudiziaria che rallentavano l’ attività dei pubblici ministeri dei diversi paesi dell’ Unione.

La bozza di Costituzione Europea, infine, prevede la creazione di un vero e proprio Ufficio del Procuratore Pubblico Europeo e l’ ulteriore rafforzamento di EUROPOL.

All’ attività di natura intergovernativa degli organi esecutivi dell’ Unione si è accompagnata la firma di tre nuove Convenzioni presso il Consiglio d’ Europa – sul traffico degli esseri umani, il riciclaggio e il terrorismo - e il parallelo adeguamento della legislazione interna ai singoli stati membri. Essi hanno finito con l’ adottare standard legali largamente simili in una serie di ambiti quali il segreto bancario, la confisca dei beni, il riciclaggio, il terrorismo, il traffico degli esseri umani e la corruzione. Il livellamento degli standard ha facilitato notevolmente la cooperazione intergiudiziaria ed ha ridotto ulteriormente l’ impunità per i reati transnazionali.

La risposta europea alla sfida della delinquenza organizzata e dei mercati illegali, quindi, c’è stata ed ha avuto il suo impatto. Non si è trattato della zampata letale di un vecchio leone seccato dalle provocazioni di una volpe, ma non si è trattato neppure di un ruggito di impotenza. Queste misure, inoltre, sono state amplificate ed universalizzate dalla Convenzione ONU contro la Criminalità Organizzata Transnazionale, firmata a Palermo nel 2000 da 125 paesi ed entrata in vigore nel 2003.

La conseguenza più rilevante del complesso di misure contro la criminalità organizzata e il riciclaggio adottate dall’ Unione Europea e dai suoi stati membri dal 1992 in poi è stata probabilmente quella di indurre una riduzione dell’ uso della violenza fisica da parte dei gruppi criminali per regolare le proprie dispute e per colpire gli oppositori più pericolosi del loro potere.

Il più rapido scambio di informazioni, il migliorato coordinamento internazionale delle indagini, gli strumenti legali e tecnici più incisivi a disposizione di polizie e pubblici ministeri hanno fatto sì che il tasso di impunità degli autori di stragi ed omicidi di mafia, nonché dei sequestri di persona, si sia abbassato drammaticamente in quasi ogni paese europeo. Nella capitale europea della mafia e dell’ antimafia, la città di Palermo, le uccisioni riconducibili alla criminalità organizzata si sono quasi azzerate, passando da 100-150 all’ anno quindici anni addietro, a 2, 3 o  addirittura zero negli ultimi tempi. Anche in alcune turbolente aree confinanti con l’ Unione come l’ Albania, la Serbia, la Turchia e la Russia il ricorso alla violenza e al massacro come strumento di risoluzione delle controversie criminali è diventato più raro.

E’ avvenuto, in altre parole, in Europa e in varie altre parti del mondo il medesimo processo di limitazione dell’ uso delle forme più estreme di coercizione da parte della criminalità di professione accaduto negli Stati Uniti tra gli anni ’20 e gli anni ’70 del Novecento. Nella capitale della mafia americana, Chicago, gli omicidi di mafia sono diminuiti da 599 negli anni ’20 a 61 negli anni ’60, fino alla trascurabile cifra odierna.

La discesa della violenza criminale in Europa lungo gli anni ’90 non ha riguardato solo l’ ambito delle mafie e dei mercati illeciti principali, ma è stata generale. Sia i dati delle denunce alle forze dell’ ordine che le indagini di vittimizzazione promosse dall’ Unione stessa mostrano un declino tra il 1992 e il 2005 che supera il 30% per l’ Europa e raggiunge il 40% in alcuni Stati membri.

Accanto alla risposta delle autorità pubbliche europee nei confronti della minaccia criminale ci sono cause sociologiche, demografiche ed economiche che concorrono alla spiegazione di questo fenomeno, e su di esse è necessario indagare a fondo. Qui è sufficiente sottolineare come l’ uso della violenza come risorsa strategica delle imprese criminali organizzate si sia sensibilmente ridotto nell’ Europa contemporanea.

Il nuovo scenario

Una diminuzione così marcata degli indici di violenza non può essere ricondotta solo alla risposta delle autorità pubbliche europee nei confronti della delinquenza organizzata. Il calo è avvenuto anche in contesti dove non hanno agito le stesse politiche, o dove esse hanno avuto solo riflessi indiretti.

Il fenomeno deve essere interpretato anche come l’ inizio di una contro-reazione della  grande criminalità alle più efficaci misure di contrasto, secondo le regole del perenne gioco della volpe e del leone.

Questa contro-reazione è una strategia in parte dettata dalle circostanze, in parte frutto di una scelta razionale. Essa sta componendo un nuovo scenario nel quale agiscono tre fattori.

Il primo è un cambiamento di struttura. E avvenuto il passaggio dalla gerarchia e dal clan criminale a strutture più fluide e complesse, dove cresce l’ importanza del “network” come forma di organizzazione prevalente. I network criminali internazionali odierni sono molto spesso entità orizzontali, prive della gerarchizzazione, centralizzazione e territorializzazione del passato, caratterizzati da grande flessibilità e capacità di mimetizzazione entro network più vasti di natura lecita.  I network criminali, inoltre, si estendono dall’ economia lecita a quella illecita senza soluzione di continuità, e rendono spesso inutile la distinzione tra criminalità organizzata e criminalità economica.

All’ interno dei network illeciti continuano a persistere criteri di affiliazione e selezione dei curricula, ma le appartenenze non sono più totali come nelle società segrete del tipo Triadi o Cosa Nostra siciliana. Parti strategiche del network possono ancora contenere elementi di etnia, di clan o di nazione, ma si tratta di qualificazioni variabili, che non vanno scambiate per identità permanenti.

Il secondo fattore è la diversificazione dei campi di intervento dei gruppi criminali come risposta all’ azione di alcuni trend di lungo periodo dell’ economia illecita. Il più importante di questi trend è il declino delle dimensioni e della centralità del mercato  degli stupefacenti nel panorama dell’ illegalità globale.

Quasi nessuno, neppure nel mondo degli specialisti, si è accorto della rivoluzione che è avvenuta nei prezzi dell’ eroina e della cocaina nei mercati più ricchi, cioè quelli dell’ Europa occidentale e degli Stati Uniti, durante gli anni ’90 e fino adesso.

Eppure, la discesa dei prezzi al minuto e all’ ingrosso è stata regolare anno dopo anno, ed uniforme per tutti i paesi dell’ Europa Occidentale e per gli USA. Un grammo di eroina da strada costava 196 euro nel 1990 nella media di 18 paesi dell’ Europa Occidentale. Il prezzo è crollato a 56 euro nel 2006. Ma il prezzo rilevante per le mafie della droga è quello all’ ingrosso. Nello stesso arco di tempo, questo prezzo è sceso da 106 a 25 euro. Negli Stati Uniti, il tonfo è stato ancora più spiccato.

Poiché in questo stesso arco di tempo il numero dei consumatori europei ed americani è rimasto uguale oppure è diminuito, il fatturato reale del più vasto mercato illecito è diminuito di oltre 4 volte. E con esso i profitti del variegato popolo della droga, e della criminalità organizzata internazionale che controlla le vendite all’ ingrosso. L’andamento dei prezzi della cocaina è stato simile, e l’ aumento del numero dei consumatori in alcuni paesi europei dal 2000 ad oggi è stato compensato dalla forte discesa di quelli americani.

Se alla caduta dei prezzi sommiamo l’ aumento parallelo dei rischi operativi, segnalato dalla crescita degli arresti e soprattutto dei sequestri di droga, che sono raddoppiati per l’ eroina, e per la cocaina sono arrivati vicini al 50% della merce offerta, comprendiamo perché la spinta verso la ricerca di nuovi mercati si sia fatta pressante per tutti gli imprenditori del settore.

 La contrazione del mercato delle droghe si è accompagnata perciò – sempre negli anni ’90 del Novecento - alla crescita del mercato degli esseri umani, del contrabbando delle piccole armi e delle merci contraffatte.

Prezzo al minuto e all’ ingrosso di un grammo di eroina nella media di 18 paesi europei e negli usa dal 1990 al 2006

[immagine mancante]

Dati UNODC per Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia,Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Islanda, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito, Irlanda.

Alcuni di questi nuovi campi di intervento della criminalità organizzata internazionale non sono egemonizzati da essa, in quanto sono popolati da una congerie di soggetti differenti, ma le loro dimensioni e la loro redditività sono in grado di controbilanciare in molti casi il calo dei narco-profitti.

Il terzo elemento del nuovo scenario è la fusione dei reticoli criminali con quelli degli “imprenditori dei conflitti” nelle zone a rischio del pianeta. Le guerre diventano sempre più imprese criminali organizzate, e queste ultime sono sempre più interessate alle guerre. Le guerre, come le mafie del passato, sono divenute dei modi di vita, dei sistemi per produrre redditi, esercitare il potere politico, e dare impiego a giovani che si trovano precluse le strade normali dell’ istruzione e dell’ occupazione.

Anche i soggetti che combattono questi conflitti si confondono sempre più con i boss criminali. Sono capitalisti di ventura che poco si curano delle bandiere e delle identità e molto del bottino e degli affari. Chiunque abbia conosciuto anche di sfuggita la situazione di posti come l’ Afghanistan, il Kosovo, la Liberia, il Congo, Sierra Leone e simili è in grado di valutare la forza esplicativa del concetto di guerre criminali rispetto al tradizionale approccio in termini di relazioni internazionali.

Le nuove strategie

Questo nuovo scenario impone un aggiornamento delle strategie dell’ Europa contro la grande criminalità. Occorre in primo luogo accelerare il processo di rafforzamento dell’ operatività di EUROPOL ed EUROJUST, nonché l’ iter costituivo del Pubblico Ministero Europeo. Le polizie nazionali e gli organismi di polizia giudiziaria europei devono essere inoltre dotati della flessibilità e della capacità di intelligence necessaria per identificare i networks criminali, la cui natura è molto più  sfuggente di quella dei clan e dei cartelli.

Si pone poi il problema di contrastare le guerre criminali riconoscendole come soggetto a se stante sia della politica di sicurezza interna che di quella estera dell’ Unione. Una fusione di alcuni pezzi del secondo e del terzo pilastro dell’ Unione è quantomai urgente. La dimensione criminale di molte guerre civili, scontri etnici, spinte secessioniste e separatiste in corso in Africa e in Asia, e nelle quali l’ Europa è coinvolta con le sue forze di rapido intervento e di mantenimento della pace, va adeguatamente riconosciuta. In modo da poter costruire posizioni di politica estera più aderenti alla realtà e più efficaci.

Pino Arlacchi

 

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