La non trattativa Stato-mafia


Ciancimino, Arlacchi: "Teste non credibile come la trattativa tra lo Stato e la mafia"

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Un personaggio inattendibile che il giudice Falcone avrebbe smascherato in poche ore.
Alla base di tutto una “favola” senza riscontri e logica dei rapporti tra politica e Cosa nostra.

l'Unità, 23 apr. 2011

L'analisi di Pino Arlacchi
La Ciancimino-story si è conclusa come da copione, ma non perdiamo di vista le sue conseguenze. Che Massimo Ciancimino fosse un teste inattendibile era evidentissimo, e un magistrato come Falcone lo avrebbe smascherato in poche ore. Alcuni suoi successori ci hanno messo tre anni. Pazienza. Ma che senso ha insistere ancora sulla favola mediatico-giudiziaria della trattativa stato-mafia degli anni delle stragi di Capaci, via d’Amelio ed altre?

Giornali e televisioni hanno creato il mito di una serie di incontri, negoziati e “papelli” vari intercorsi tra capimafia e forze dell’ordine, aventi lo scopo di trattare una via di uscita per Cosa Nostra dalla sconfitta del maxiprocesso del 1986-87.
Perché mito di una trattativa in realtà mai esistita? Perché chi lo ha alimentato parla di fatti che galleggiano nell’aria, privi di contesto e zeppi di omissioni. Il contesto è l’Italia di quegli anni, e le omissioni riguardano i titolari delle presunte trattative. Cominciamo da questi.

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La trattativa non c'entra con l'attentato a Borsellino

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La Stampa, 17 ott. 2009

di Guido Ruotolo

Domande a Pino Arlacchi
di Guido Ruotolo

Pino Arlacchi, eurodeputato di Idv, nei primi anni '90, quelli delle stragi, lei è stato consulente del ministro dell'Interno. Un testimone di quella stagione drammatica. Paolo Borsellino è stato ucciso perchè s'opponeva alla trattativa tra il Ros di Mori e Ciancimino?

"Si sta sopravvalutando tutta la storia. Il rischio è quello di far passare l'idea cara a Riina: le stragi di Stato. Non è così. Le stragi furono opera di Cosa Nostra, che temeva per la sopravvivenza dopo le condanne al maxiprocesso, con la complicità di pezzi pericolosi dello Stato. Se Borsellino avesse attribuito ai contatti tra il Ros di Mori e Ciancimino il valore che oggi si attribuisce, non sarebbe stato in silenzio. L'avrebbe denunciato ai massimi livelli dello Stato".

Dopo la morte di Falcone si avviò una trattativa?

"Credo che contatti tra Stato e Antistato ci siano sempre stati. Passavano attraverso la figura del confidente. Dai tempi del bandito Giuliano certi settori delle forze di polizia hanno sempre utilizzato i confidenti. Falcone era consapevole che il Ros di Mori, in concorrenza con la polizia di Parisi, cercava di recuperare il terreno perduto. Mori era spregiudicato, il Ros attraversava territori molto opachi".

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Arlacchi: nel '92 si poteva vincere, abbiamo sprecato un'occasione

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La Stampa, 27 lug. 2009

"Più di una trattativa tra Stato e mafia"
di Francesco La Licata

«Vedo un pericolo, in questa overdose di servizi più o meno deviati, di trattative, di improvvise loquacità di uomini come Riina, di papelli sparsi in giro più per confondere che per fare chiarezza». Il prof. Pino Arlacchi, eurodeputato dell'Idv e studioso dei fenomeni críminali, può essere considerato un testimone d'eccezione di quel momento della storia d'Italia improvvisamente tornata alla ribalta.

Era in stretto contatto con Falcone e Borsellino, era il più vicino collaboratore del ministro dell'interno Vincenzo Scotti ed era uno dei punti di riferimento - l'altro era Gianni De Gennaro - della Direzione Investigativa Antimafia, la polizia che Falcone pensava come braccio operative della Direzione Nazionale Antimafia (la famosa "Superprocura"), entrambe ideate per la battaglia frontale contro Cosa Nostra all'inizio degli Anni Novanta.

Professore, quale sarebbe il pericolo di cui parla?

«Che prevalga l'idea sbagliata, fortemente perseguita dalla mafia, che non c'è mai stata nessuna genuina opposizione a Cosa Nostra e nessuna possibilità di vittoria. Io dico il contrario, dico che in quegli anni, specialmente a ridosso della strage di Capaci e fino al '94 noi abbiamo avuto la possibilità di farla finita con la mafia. Purtroppo quell'occasione l'abbiamo persa, ma le condizioni per vincere c'erano, anche dopo Capaci e via D'Amelio. Perché l'apparato di contrasto era molto più forte di quelle frange marginali dello Stato che remavano contro, facevano trattative e papelli.»

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